Il paradosso del Linguaggio

Il Linguaggio: uno dei traguardi più virtuosi dell'uomo, ma allo stesso tempo un gigantesco limite. La grande fregatura.

Ci avete mai pensato? Vi siete mai resi conto che l'esistenza intera di una persona è indissolubilmente legata all'invenzione e alle caratteristiche del linguaggio? Linguaggio inteso non tanto come differenze linguistiche, piuttosto come sistema di attribuzione di significati.

Immaginate una persona che, idealmente, alla nascita è una tabula rasa, memoria genetica a parte. Tutto quello che è in grado di fare è esperire emozioni e sentimenti, percepire, intuire.

Tutto ciò arriva, e continuerebbe ad arrivare in età adulta, direttamente, in modo incontaminato.

L'espressione è acerba, primordiale, genuina.


Qui c'è il grande paradosso da cui partire: il linguaggio è imprescindibile, non è possibile che un essere umano non sviluppi una forma di linguaggio. Ma questo linguaggio ha un prezzo che pagheremo per tutta la vita, perché resterà per sempre un “velo di Maya" che condizionerà tutta la nostra esistenza, spesso arricchendola, ma altrettanto spesso (senza che noi ce ne accorgeremo mai perché parte di noi) limitandola.


Il linguaggio ci permette di elaborare e verbalizzare pensieri complessi. Ma il linguaggio non si esaurisce nella produzione parlata, agisce anche su cosa e come pensiamo. Noi pensiamo, esperiamo, riflettiamo attraverso il linguaggio. E così diventa una castrazione, un filtro che ci impone ogni singolo limite di ciò di cui facciamo esperienza.


È il linguaggio a permetterci di essere quello che siamo?

O noi siamo ciò che siamo NONOSTANTE il linguaggio?

O ancora, cosa potremmo essere se non esistesse il linguaggio?


L'elaborazione di un pensiero, l'interpretazione di un evento esterno a noi, l'esperienza stessa di un'emozione e le conseguenze sul nostro modo di pensare, sono co-costruite, filtrate, contaminate dal linguaggio.

Il nostro pensiero è fatto di linguaggio, di parole e di significati, e tutti questi sono costruiti, sono frutto di un'invenzione (un'invenzione che, effettivamente, funziona molto bene).

Pensate a tutte quelle volte che nella testa sembra di avere una tempesta di emozioni, sensazioni, intuizioni incredibilmente difficili da verbalizzare, o anche solo da pensare in una forma conosciuta, gestibile, logica, strutturata.

Piccoli frammenti che, inaspettatamente, sfuggono alle regole del linguaggio.

Pensate a quanto sono reali, a quanto sono forti, a quanto quell'esperienza così vergine e genuina sia un'eccezione. È difficile anche solo parlarne indirettamente.

Quanto è potente quel piccolo spazio protetto dal linguaggio? Cosi difficile da afferrare col pensiero, ma così chiaro a ognuno di noi. Quel qualcosa che sentiamo andare oltre.

Perché? Perché sfugge al linguaggio, a ciò che è stato appreso, alle regole, ai significati arbitrariamente attribuiti. Le parole sono contenitori, perimetri dai quali non possiamo uscire.

Nel momento in cui l'essere umano produce un'emozione, una pulsione, un pensiero, uno stato, esso è esprimibile attraverso un numero limitato (seppur vastissimo) di parole o di forme/frasi.

Pensate alla felicità, a tutti i sinonimi e ai modi per comunicarla.

Il linguaggio funziona perché quella parola rievoca in tutti coloro che la ascoltano un sistema di credenze comune, ognuno più o meno in linea con l'altro. Ma non sarà mai raggiunta la completezza, resterà sempre un compromesso.

Perché nella mia parola Felicità c'è un mondo impossibile da dire, che ne sfiora un altro, ma che non potrà mai, attraverso il linguaggio, essere totalmente compreso.

Il linguaggio offre la possibilità di esprimersi, ma limita le possibilità di espressione.

Attraverso il linguaggio pensiamo, ma il linguaggio limita la possibilità di pensiero.

Il linguaggio è uno strumento incredibile, e la sua non esistenza è impossibile.

Ma, allo stesso tempo, è il gigantesco burattinaio che impone le modalità e la qualità delle nostre esperienze e, quindi, della nostra vita.